SI CHIEDE A GRAN VOCE UN’AUTORITÀ CHE CERTIFICHI LE BLOCKCHAIN DI REGISTRI “DISTRIBUITI” ITALIANI MA C’È PIÙ DI UNO SCOGLIO.
Innanzitutto come in ogni applicazione tecnologica assolutamente utile in termini di proof-of-concept ma drammaticamente difficile da implementare all’interno della variegato universo della “cosa pubblica” italiana occorre fare una valutazione costi-benefici.
Di suola blockchain esprime i suoi vantaggi quando si può e si vuole distribuire un database su un’ampia Platea. Ma se il tenutario dei registri è uno o pochi in termini di risorse è un dispendio. Non ci sono santi è così.
E poi va tenuta in considerazione la normativa europea ed in particolare il Gdpr che potrebbe non essere un ostacolo da poco quando registri possono accedere anche i cittadini.
Pertanto c’è scritto Ale è che come accade con le Pec che poi vengono depositate all’interno dei vari protocolli delle amministrazioni e quindi perdono la loro utilità diventando in realtà poco più di un fax salvo essere poi duplicate nuovamente all’interno dei vari fascicoli digitali e dello Spid c’è il rischio di avere una blockchain che serva solo a tenere traccia delle transazioni che vengono sui più consueti sistemi di database centralizzati, tra l’altro non Real Time dato il meccanismo del consenso che può essere anche non rapidissimo.