Referendum Trivelle #IoVotoSI

Ciò che è sotto i nostri mari è un bene pubblico, è di tutti. Quindi se concediamo ad un’azienda di estrarre petrolio e gas quantomeno dovrebbe ritornarcene un pagamento, in gergo tecnico royalities, proporzionale a quanto estratto.

E’ così in tutto il mondo ed è previsto anche nel nostro paese ma l’Italia, si sa, è sempre un po’ speciale.

Andiamo con ordine: cosa sono le royalty?

Le royalities sono delle quote in denaro che l’industria estrattiva versa annualmente allo Stato, ma anche alle regioni e ai comuni su cui insiste l’impianto, per lo sfruttamento delle risorse. Secondo la nostra legislazione, infatti, petrolio e gas sono un bene indisponibile dello Stato, cioè di proprietà pubblica. Lo stato naturalmente non si occupa direttamente di estrarre queste risorse e “concede” con speciali titoli di sfruttamento detti appunto “concessioni” di tali risorse a dei soggetti privati a fronte di una quota percentuale del valore di quanto estratto che, a leggere dal sito del Ministero dello Sviluppo Economico, è pari al 7% per l’estrazione di gas e di olio a terra e del 4% per l’estrazione di olio in mare, a cui sommare una quota del 3% da destinare al fondo per la riduzione del prezzo dei prodotti petroliferi se la risorsa è estratta sulla terraferma o per la sicurezza e l’ambiente se estratti in mare. Altri paesi hanno percentuali assai maggiori.

Sempre dal sito del Ministero dello Sviluppo Economico si legge che esistono franchigie, cioè limiti al di sotto dei quali gli impianti allo stato non versano nulla.

  • 20.000 t di petrolio estratto a terra;
  • 50.000 t di petrolio estratto in mare;
  • 25 Milioni di mc di gas estratto a terra;
  • 80 Milioni di mc di gas estratto in mare;

Ne consegue che avendo una scadenza temporale la concessione all’industria conviene estrarre rapidamente quello che può, se la concessione non ha scadenza l’interesse sarà maggiormente quello di estrarre a ritmo blando per rimanere nella franchigia. Naturalmente le aziende in caso di picchi di richiesta possono sempre scegliere di incrementare le estrazioni ma rallentandole, per converso, continuano a tenere alto il prezzo al barile.

Questo è ben noto alle società multinazionali che hanno prodotto diversi studi sull’argomento. Famoso il dossier del 2010 di Cygam Energy, la società petrolifera canadese, che raccomandava fortemente di investire in impianti in Italia perché “la struttura italiana delle royalty è una delle migliori al mondo”, cioè una delle più convenienti per i petrolieri.

#IoVotoSi per tutelare i nostri mari, far smontare gli impianti a fine concessione dando lavoro per anni agli italiani.

E’ per questo che la fatto scalpore tanto da causare il referendum di oggi per il quale aderisco alla campagna #M5S #IoVotoSi  alla cancellazione di quella norma contenuta nell’ultima legge di stabilità che consente alle società concessionarie dei giacimenti petroliferi nel nostro mare (entro le 12 miglia marine) di poter continuare a sfruttarli fino al loro esaurimento. Oggi infatti lo stato permette di sfruttare, gratis fino alla franchigia, le nostre risorse non risolvendo i rischi ambientali per i quali, nelle concessioni, un 3% di quelle royalities fuori franchigia era pure previsto.

Stiamo parlando di tanti soldi, tantissimi, che questi impianti di fronte ai nostri settemila chilometri di coste famose in tutto il mondo, potrebbero continuare a non pagare restando nel comodo regime della franchigia vita natural durante.

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